Introduzione
di Giovanni Carbonara
Il tema dell’intervento sull’Anfiteatro Flavio (Colosseo) è stato posto, in sede di progetto definitivo, essenzialmente come una questione di trattamento delle superfici, da tutelare, pulire, consolidare e ripresentare nel modo più opportuno, con una speciale attenzione – tutt’altro che usuale – per la preservazione, al di sotto delle coltri di sporco, del colorito assunto nel tempo dai travertini, comprese le patine ‘ambrate’ emerse nel corso dell’accurato intervento preliminare e sperimentale del 1999.
Le espressioni presenti nella Relazione generale e nella Relazione specialistica allegate al progetto definitivo sono, a questo riguardo, esemplari e chiarissime. Volendosi però estendere il ragionamento e passare, come poi dovrà avvenire di necessità, da una visione, per così dire, ‘bidimensionale’ ad una ‘tridimensionale’, volumetrica e spaziale del trattamento di restauro dell’Anfiteatro inteso come tema architettonico (oltre che archeologico), qual esso innegabilmente è, non ci si potrà esimere da ulteriori e aggiuntive considerazioni di restauro. Aggiuntive per il fatto di considerare, accanto alle superfici verticali, certamente prevalenti, poi orizzontali, inclinate e ricurve, anche in una visione unitaria il monumento come ‘sistema edilizio’ complesso, nel quale gli elementi come le cornici, gli sporti e proprio i piani orizzontali giocano un ruolo importante di protezione ed autoconservazione del manufatto. Tale sistema, pur definito da superfici pregevoli e di grande qualità estetica, grazie anche al lavorio del tempo, rappresenta comunque una realtà composita, sia sotto il profilo costruttivo sia sotto quello puramente geometrico, dal quale gran parte dei processi di degrado dipende. Come si vede in alcune immagini ravvicinate, soprattutto degli elementi orizzontali più esposti, l’acqua si è aperta numerosi varchi nei quali scorre allargando e facilitandosi sempre di più il cammino a danno della materia antica. È lo stesso tipo di danno che si notava, qualche anno fa, sulla cornice marmorea intermedia dell’Arco di Augusto a Fano (che non è stata reintegrata ma ha richiesto, oltre alla pulitura e al consolidamento della pietra, l’inserimento di una moderna ma discreta scossalina) o, nella stessa città, precisamente nella cosiddetta Fortezza del Sangallo, su un basso muro in mattoni di XV secolo che divideva la piazzaforte superiore da quella inferiore e nel quale le acque si erano aperte progressivamente un passaggio largo quasi un metro che ha richiesto un’opera di accurata reintegrazione. Per quanto riguarda il futuro del grandioso Anfiteatro Flavio in Roma, si tratterà di effettuare soprattutto lavori di manutenzione, riparazione ed, in qualche caso, di miglioria, miranti ad alleggerire la continua azione disgregatrice svolta dagli agenti atmosferici e, in primo luogo, dall’acqua piovana; ciò per garantire all’edificio la capacità d’una buona resistenza nel tempo ai predetti agenti atmosferici, in primo luogo, ma anche le condizioni d’una sua piena e rispettosa fruibilità e godibilità. Da qui la necessità d’una riflessione sulle opere indispensabili di convogliamento e canalizzazione delle acque meteoriche, sugli accorgimenti per il loro rapido scarico a terra, quindi sulla manutenzione costante e sull’ispezione ciclica dei paramenti e delle sommità murarie, infine sul trattamento dei piani esterni, soprattutto orizzontali e inclinati. Da qui anche una speciale attenzione per la messa in luce dei punti a rischio, quelli generalmente legati a cambiamenti geometrici, di materiali, di sistema (ad esempio, il sistema muriterreno di fondazione ecc.). La dottrina del restauro sottolinea ripetutamente la stretta connessione che deve sussistere fra conoscenza e intervento, anche nei casi di semplice conservazione o prevenzione. Ciò nel senso che l’atto restaurativo non può escludere il richiamo alla comprensione storico-critica del manufatto la quale, ancor prima della competenza tecnica, rappresenta la guida sicura per agire consapevolmente sui beni culturali. Ma il ragionamento vale anche in senso contrario, non solo dalla storia al restauro, quindi, ma dal restauro alla storia, dove il cantiere di conservazione può diventare, se l’operazione è ben condotta, una fonte ricchissima, quasi un nuovo archivio di notizie, osservazioni e dati storici insperati, che in nessun altro modo sarebbe stato possibile esplorare. Da qui la nota affermazione sulla ‘circolarità virtuosa’ del restauro, espressiva della sequenza storia-restauro-storia e via dicendo. Nel caso specifico del Colosseo va subito notata la non comune stratificazione e la pluralità di fasi, le modifiche e le rilavorazioni (controfodere, ispessimenti murari, soluzioni di continuità, scavi, condotti, vani ecc.) che possono generare comportamenti inattesi e nascondere punti a rischio; così anche la sua articolazione in una serie d’elementi architettonici aventi posizione, livelli, coperture, fondazioni e geometrie diverse e complesse.